Mia nonna Alfonsina era nata negli ultimissimi anni dell’Ottocento. Era alta poco più di un metro e cinquanta e quando, a otto anni e appena finita la seconda elementare, lavorava incollando scatole di fiammiferi alla Saffa di Magenta, avevano dovuto metterle uno sgabello sotto i piedi perché era così bassa di statura da non riuscire a raggiungere il bancone.
Come vi dicevo, non sarebbe cresciuta poi tanto.
Parlava solo il dialetto milanese bastardo dei contadini. Quando facevo la brava, e le chiedevo di premiarmi per questo, rispondeva che mi avrebbe dato un bel niguttin d’or: un bel nientino d’oro. Una promessa che è un concentrato di attese e fatale delusione.
Del rapporto che lega forma e contenuto si discute dai tempi di Platone, e non ho alcuna intenzione di mettermi a filosofarci sopra. A chi fa un lavoro creativo, e negozia quotidianamente con contenuti in cerca di forma, basta ricordare che noi percepiamo e comprendiamo ed entriamo in contatto con qualcosa solo nella forma in cui quel qualcosa si esprime per noi.
Senza una “forma”, qualsiasi “contenuto” rimane potenziale. La forma, dunque, non è un accessorio, ma la condizione necessaria perché il contenuto si manifesti a noi.
Così, percepiamo il pensiero e il sentimento attraverso parole che lo formalizzano (segni fatti di significanti che veicolano significati, ed esprimono – o meno – un senso). O attraverso tratti e colori che ce lo illustrano, formule che lo evocano, documenti e grafici che lo spiegano. Percepiamo il tempo ordinandolo in sequenze di eventi, e strutturandolo per catene di cause ed effetti: le storie e la Storia. Percepiamo lo spazio nelle strutture formali che ricostruiamo a partire dal nostro punto di vista. Percepiamo una faccia attraverso le sue proporzioni. E così via (e se vi è piaciuto il video che ho linkato, guardatevi anche questo).
Ma torniamo alla creatività, e al nientino d’oro della nonna: il lavoro creativo, per molti versi, non è altro che una infinita messa in forma di infiniti contenuti possibili. E sì, la messa in forma – e nella forma migliore – è fondamentale. C’è da sbattersi ben bene e da investire abilità e pazienza per metterla a punto.
Ma andare alla ricerca della forma senza avere avuto prima l’intuizione forte di un contenuto (l’idea che può diventare un racconto. La visione che può diventare un quadro, o un film. O un progetto politico. Il problema che può trasformarsi in una soluzione. Il quesito che contiene in sé il germe di una scoperta. Il concept che può diventare un prodotto…) è un lavoro a vuoto.
Eppure spesso si fa l’errore di partire in quarta con le preoccupazioni formali senza controllare che ci sia qualcosa di consistente, da mettere in forma. Succede perché lavorare sui contenuti è più difficile. Più incerto. E, soprattutto, perché aggiustare la forma è in fin dei conti più rassicurante che scornarsi coi contenuti: i quali, ancora privi di forma, scappano da tutte le parti, in tutti gli universi del possibile.
Eppure, un lavoro solo formale non sta in piedi, e bisogna ricordarsene. Produce solo apparenze fragili. Fumo senza arrosto. E la delusione del niguttin d’or.
L'articolo Metodo 34: forma o contenuto? Attenzione al “nientino d’oro” sembra essere il primo su Nuovo e Utile.